Perché ATTESE?
Era sabato mattina, e mi trovavo in un ufficio postale, in attesa del mio turno per il ritiro di una raccomandata e, davanti a me, c’erano almeno dieci o dodici persone.
Mi sono quindi seduto, rassegnato, su una sedia nell’area d’attesa aspettando il mio turno.
Come sempre accade in queste circostanze, dopo pochi istanti, una volta calcolato che ci sarebbe voluta almeno mezz’ora prima che venisse chiamato il mio numero, mi sono lasciato andare nei percorsi della mia mente.
Ripensai a quello che avevo detto a mio figlio, allora ventenne che affrontava l’università; "Sarò stato efficace? L'ho aiutato a risolvere alcuni dei suoi problemi o gliene ho creati di nuovi?" - "Cosa dico a mia figlia per commentare il brutto voto in matematica? Dovrò essere duro ma comprensivo o dovrò minimizzare la cosa per non indebolire la sua autostima?
Pensavo anche alla mia reazione ad una notizia che mi aveva disorientato; forse sarebbe stato meglio non far trasparire i miei sentimenti. Oppure chi se ne frega? Va bene mostrarsi anche disorientato.
A questi pensieri si accavallavano anche altri ragionamenti, idee, ripensamenti, intenzioni e immagini che si confondevano tra loro tenendomi in una specie di incanto.
La mia attesa mi tratteneva in questo vortice di pensieri e idee strappandomi dal caos che regnava nello spazio in cui mi trovavo.
Purtroppo però il mio vicino, un signore anziano, si rivolse a me per una inutile lamentela farfugliando qualche cosa tipo: “ma quanto ci vuole per dar fuori qualche cartolina?!”.
Distolse la mia attenzione dai miei pensieri che vennero risucchiati nel caos dell’ufficio postale in un istante.
Vista la mia blanda reazione - “Già” risposi senza considerare nemmeno le sue argomentazioni - l’anziano polemico ritenne di dover rincarare la dose con ulteriori inutili commenti sarcastici togliendomi dalla testa anche quell’ultimo barlume che, se invece se ne fosse stato zitto, probabilmente avrebbe riacceso i processi mentali dei mie pensieri.
Io risposi per cortesia senza convinzione alle sue teorie e considerazioni .
Poi finalmente arrivò il suo turno e quindi si alzò per ritirare il suo pacco o quel che era.
Questo episodio mi infastidì parecchio.
Ero attento ai miei pensieri al punto che probabilmente avrei perso anche il mio turno se in quel frangente mi avessero chiamato, ma a me andava bene così!
Moltissimi dei miei pensieri, o delle mie idee che poi si trasformano in dipinti o testi, opinioni, emozioni , azioni e rapporti, nascono proprio in circostanze simili all’attesa in quell’ufficio postale.
Ho capito quanto l’attesa favorisca l’introspezione e l’ideazione, ma essa deve essere necessariamente passiva, senza giornali o dépliant in mano da leggere, senza cellulari, senza discussioni con il vicino petulante, senza distrazioni.
È pura concentrazione, silenzio acustico nel chiasso mentale; estraneazione e riflessione.
In quel momento sei solo con te stesso davanti a uno specchio interiore che mostra le tue paure e le tue ambizioni, le tue manie le tue idee e i tuoi sogni.
Progetti e intenzioni prendono forma serpeggiando nell’insieme dei processi mentali che inconsciamente o consciamente ognuno di noi, chi più, chi meno, avvia in questo stato di catatonia apparente.
Ho deciso quindi di realizzare una serie di dipinti articolata in 10 situazioni nelle quali il soggetto non fosse qualcuno che attende qualcosa, ma la sua stessa attesa.
I soggetti infatti, sono rappresentati privi della loro fisionomia, sono sagome anonime nell’ attesa di qualche evento per altro non importante al fine narrativo in quanto l’intenzione primaria è quella di instillare o ricordare momenti del reale vissuto di ogni riguardante.
L’intenzione infatti è volta ad evocare, in un probabile déjà-vu l’angoscia o la gioia, le paure o i sogni che la situazione rappresentata, ridotta graficamente con frammentati e silenziosi segni bianchi su larghe campiture, costituisce per il riguardante.
Ognuno di noi, infatti, prima o poi, s’è incontrato con se stesso davanti a una porta o a una finestra; con lo sguardo cieco posato su un telefono o su un paesaggio che scorre dietro i finestrini di un autobus.
Come in un paradosso temporale, questo incontro annulla spazio e tempo generando luci ed onde che illuminano e cullano i pensieri e le idee che essi stessi provocano.
L’attesa interpretata quindi non come momento vuoto da riempire con letture più o meno vaghe o vani discorsi con sconosciuti, ma come momento di introspezione, di autoanalisi e di profonda ricerca interiore.